| 
     La
    testimoniaza di don 
	
	Bartłomiej Stefan Ceptowski 
    Don
    Carlo Wajszczuk durante la sua prigionia nel campo di Sachsenhausen si fece
    conoscere con tanti atteggiamenti eroici. Uno di questi è descritto
    da don 
    Bartłomiej
    Stefan Ceptowski:
    
     
    
	
	 “Ed
    ecco un altro evento eroico di don Carlo Wajszczuk, parroco di Drelów della
    diocesi della podlachia. Dopo una terribile quarantena 
    ‘hùpfen rollen’, dopo le umiliazioni vergognose
    all’inizio del mese di agosto 1940 ci misero a lavorare secondo gli ordini
    del capoblocco , uomo disumano. A me capitò uno dei lavori più
    terribili (pesanti) del campo, così detto ‘Kanallkomando’. Al
    lavoro distante 4 km andavamo in marcia , a passo veloce, cantando. Ogni
    giorno facevamo questa strada due volte: andata e ritorno. Per cui si faceva
    16 km di marcia. Dovevamo scaricare la merce dalle navi : carbone coke,
    mattoni, cemento, carbone destinate per il paese. Una volta scaricammo il
    carbone. Il carbone veniva portato fuori dalla nave con una carriola, poi si
    passava su una stretta passerella che si muoveva, e veniva svuotata alla
    distanza di circa 100 m dalla riva. E si elevò un alto mucchio di
    carbone e noi dovevamo, camminando su questa passerella, trasportare il
    carbone, spingendo la carriola. Questo lavoro superava le mie forze, oltre
    il fatto che l’organismo era già indebolito per la martirizzante
    quarantena. Un giorno per tre volte , con estremo sforzo, trasportai il
    carbone, mentre facevo la quarta, in mezzo alla strada, sentii che le forze
    mi stanno abbandonando, gridai aiuto, ma nessuno si mosse in soccorso.Dalle
    mie indebolite mani scivolò via la carriola con il carbone e cadde
    nell’acqua. Il capo del nostro gruppo mi ordinò di buttarmi
    nell’acqua e tirare fuori la carriola. Mi guardai attorno cercando qualche
    aiuto,  fratelli Polacchi  rimasero tutti impotenti e spaventati invece le faccie dei
    Tedeschi erano senza pietà. Qualcuno mi spinse e mi trovai
    nell’acqua, destinato a morire. E accadde una cosa strana, il capo stesso
    della guardia SS ordinò di tirarmi fuori dall’acqua, ero svenuto.
    In questo stato a mezzogiorno mi portarono al campo. Nel pomeriggio il
    capoblocco  vista la mia situazione senza speranza non mi fece andare al
    lavoro. Rimasi nel campo. Durante la notte mi ripresi un po’, così
    che la mattina seguente mi presentai all’appello, ma non mi sentivo di
    fare tutta quella strada per andare al lavoro. Il capoblocco  mi mandò dal suo comandante. Le mie spiegazioni
    riguardo al fatto che ero sfinito non portano nessun risultato. Nel campo
    c’è solo posto per vivi  o
    per i morti, deboli e malati non ci sono. Quando morirai sarai libero dal
    lavoro. Il capoblocco, dal suo buon cuore dona al suo fratello con
    prigioniero un filo per impicarsi. So che andare a lavorare per me significa
    sicuramente morire, se non durante la strada certamente il capo non mi
    perdonerà quella carriola di carbone finita ieri nell’acqua. Non
    c’è vi d’uscita. Mi affido a Buon Dio e mi misi in fila per
    andare al Kanallkomando.
    
     
    In
    quell momento si avvicinò al capoblocco don Carlo Wajszczuk,
    sacerdote di podlachia- della mia diocesi, di anni 53, da me quasi
    sconosciuto, perché io avevo appena 30 anni ,- nel campo ci volevamo tanto
    bene – e chiese al capoblocco di mandare lui al posto mio a lavorare in
    questo komando. Quello dichiarò –‘lui, non è più
    capace di lavorare ‘. Continuò don Carlo:- Lui è mio
    conpaesano, io sono più anziano, ma ancora forte, lui invece è
    già mezzomorto, d’altronde è giovane, peccato perderlo,
    quanto a me non ci sarà nessun danno”. 
    
     
    Io
    sentendo tutto questo gridai ad alta voce, che non accetavo questa
    sostituzione; io stesso vi sarei andato e non gli permettevo che andasse per
    me. Qui ci vuole una spiegazione. Le persone che non andavano al lavoro
    portavano gli zoccoli, (scarpe di legno). Il capoblocco sentendo il
    nostrodissidio disse, che per lui era indifferente chi di noi andava a
    lavorare. Siccome io portavo le scarpe chiuse invece do Wajszczuk portava
    gli zoccoli, io mi misi in cammino. Allora don Wajszczuk subito mi prese, mi
    gettò per terra, io non avevo la forza per difendermi, mi tolse le
    scarpe dai piedi e se le mise lui. Le scarpe risultano troppo strette per
    lui, il capoblocco fa fretta, perché è già ora di andare, e
    pertanto don Carlo, zoppicando a causa delle scarpe strette corse per
    raggiungere il gruppo, che da parecchio era già in cammino.
    
     
    
	
	
	 Lui
    andò per me strappando così la mia vita dalla morte. Nello
    stesso momento lui si è lasciato intrappolare nella rete della morte
    perché a causa delle scarpe troppo strette non riuscì a camminare
    bene. Lo picchiarono fortemente e lavorando in queste condizioni sui suoi
    piedi si fecero delle ferite. Venne poi licenziato da questo lavoro, e
    segnato come incapace di lavorare. Queste ferite sui piedi, di consequesnza,
    gli provocarono una malatia (flegmona). E come l’invalido, incapace di
    lavorare fu trasportato nel 1942 nella “camera a gas”. 
    
     
    Onore
    a questo sacerdote, eroe. Iddio! Abbi misericordia di  lui!.”
    
     
    Il
    4 maggio 1955 don Stefan Ceptowski in un articolo sul quotidiano “Slowo
    Powszechne” descrisse la figura di don Carlo Wajszczuk, sacerdote e
    martire. Più avanti, in presenza del vescovo Mons. Jan Mazur fece
    testimonianza al popolo riunito nelle chiesa parrocchiale a Drelow degli
    fatti che portarono al sacrificio della vita di don Carlo Wajszczuk per
    salvare un altro sacerdote.
                         
                 |